Breve riflessione sulla comunicazione e consenso informato

E’ opinione diffusa, soprattutto tra medici legali, magistrati ed esperti di comunicazione, che i medici non sappiano usare le tecniche di comunicazione con i pazienti, e che la stragrande maggioranza delle cause intentate dai pazienti o loro familiari siano dovute ad un approccio errato di comunicazione dei medici. In particolare è spesso contestato ai medici che essi tendono ad ignorare il delicato complesso di emozioni, sentimenti e stati d’animo dei pazienti che sono invece l’elemento essenziale della relazione e della comunicazione tra esseri umani, e che in vero la prima relazione che si instaura è governata dalla componente emotiva dell’intelletto umano.

Si è dimostrato che alcuni stili comunicativi, attenti al vissuto – prospettiva del paziente, sono più efficaci di altri nel determinare risultati clinici quali la soddisfazione dei pazienti al termine delle visite o la loro aderenza ai trattamenti proposti. Tali stili comunicativi sono insegnabili e apprendibili, ed invero sono stati istituiti Corsi di insegnamento in molte Università soprattutto straniere. Il loro impiego nella pratica clinica porterebbe alla riduzione del “contenzioso” medico paziente.

Ed invece in genere nelle università italiane i medici non vengono preparati a comunicare in maniera efficace, e viene privilegiato solo l’apprendimento tecnico.

In vero, quanto più si va indietro nel tempo, la storia racconta che era proprio il medico, anche perché considerato come un sacerdote in contatto con la divinità, tra i primi ad usare la comunicazione per aumentare l’efficacia dei pochi farmaci allora disponibili. Ancora oggi i medici, con un buon apprendimento tecnico, sanno quanto valga in termini di efficacia anche il cosiddetto effetto placebo.

Secondo gli esperti nella visita clinica si crea una relazione durante la quale si raccolgono e forniscono informazioni. La comunicazione quindi per essere efficace deve basarsi su tecniche e capacità di raccolta di informazioni in genere divise in capacità di chiedere (domande chiuse, domande aperte, tecniche di eco) e capacità di ascoltare (silenzio, tecniche di continuazione). Tali tecniche e capacità devono essere periodicamente verificate.

Gli esperti di marketing si fregiano della capacità di riuscire a far comprare un frigorifero ad un esquimese sfruttando tali tecniche di comunicazione.

Prendiamo ad esempio di come viene consigliato di comunicare una cattiva notizia con indicazioni accettate a livello internazionale: il medico deve considerare i seguenti passaggi: avviare il colloquio; esplorare che cosa sa il paziente; capire quanto il paziente desidera sapere; condividere le informazioni col paziente (allinearsi); rispondere ai sentimenti del paziente; pianificare e accompagnare. La comunicazione è quindi molto basata sulla cosiddetta fase emotiva del paziente.

In vero non pare esserci alcun obbligo giuridico per il medico di essere “gentile” o di saper ben comunicare (inteso anche, come eccesso, della capacità di saper vendere la propria “arte o professione”). In contrasto invece il medico ha l’onere e l’obbligo giuridico di informare il paziente.

Secondo la Cassazione il consenso del paziente oltre ad essere informato deve essere consapevole, completo (deve riguardare tutti i rischi prevedibili, compresi quelli statisticamente meno probabili, con esclusione solo di quelli assolutamente eccezionali ed altamente improbabili), globale (deve coprire non solo l’intervento nel suo complesso, ma anche ogni singola fase dello stesso), ed esplicito e non meramente presunto o tacito.

Pare opportuno chiedersi, seppur è indubitabile che l’emozione pregiudica la comunicazione e condiziona la relazione, se la comunicazione del medico può essere rivolta alla parte emotiva del paziente o deve esclusivamente basarsi sulla parte intellettiva.

E soprattutto è vero che l’avvio dei procedimenti penali sia dovuto a cattiva comunicazione ?

In vero già Lucio Anneo Seneca affermava che alla base dell’alterato rapporto con il medico vi sia una predisposizione del paziente a ritenere che tutto gli è dovuto e che i pazienti non vogliono in particolare sentirsi obbligati nei confronti dei medici.

In vero attente osservazioni riportano che è l’arroganza, (la boria, la presunzione, la spocchia, la supponenza, l’insolenza, etc), mostrata dal medico, che pur potrebbe rientrare nella cattiva comunicazione, ad irritare fortemente il paziente e/o i suoi familiari ed indurli alla denuncia.

Se poi sono i magistrati ad affermare che molte cause intentate dai pazienti o loro familiari siano dovute ad un approccio errato di comunicazione dei medici, c’è da chiedersi se essi perseguono reati penali o reati di cattiva comunicazione.

Questa voce è stata pubblicata in Pensieri. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *