Titolarità del consenso informato

Sempre più spesso i medici legali nei convegni di aggiornamento professionale ammoniscono i medici curanti a non coinvolgere e/o a raccogliere il consenso informato dai parenti, pur ammettendo la difficoltà nell’individuare il titolare del consenso informato.

A noi pare in vero che i medici non siano affatto da ammonire a coinvolgere i parenti o le persone di fiducia del paziente, a meno che quest’ultimo non voglia, sulla base delle disposizioni della legge del 22 dicembre 2017, n. 219 recante “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”.

Quella legge prevede espressamente che il paziente può indicare i familiari o una persona di sua fiducia a ricevere le informazioni ed a esprimere il consenso in sua vece, (l’indicazione va registrata nella cartella clinica), e che siano coinvolti i familiari, i conviventi, e nella pratica chiunque il paziente desideri. In particolare qualora il paziente esprima la rinuncia o il rifiuto di trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente e, se questi acconsente, ai suoi familiari, le conseguenze di tale decisione e le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo, anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica.

La legge appare innovativa nel ribadire l’importanza di ascoltare e valorizzare sempre la volontà del paziente anche se interdetto, incapace, o minore.

A noi pare infine corretto acquisire il consenso informato dai familiari o persona di fiducia del paziente (che verosimilmente se ne sono presi cura fino a poco prima) anche quando quest’ultimo non è in grado di esprimere alcun consenso.

In quest’ultimo caso ci chiediamo invece come possa interpretare la volontà del paziente un professionista in materie giuridiche ed economiche, soggetto terzo pur di specchiata onestà e moralità, nominato dal Giudice Tutelare attingendo, per evitare ogni conflitto di interessi, da appositi elenchi istituiti presso i singoli Uffici giudiziari.

Quest’ultimo professionista non potrà far evidentemente altro che adeguarsi pedissequamente alle indicazioni del medico, senza poter esprimere alcuna volontà del paziente non avendolo mai conosciuto.

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

Copertura assicurativa del medico strutturato

E’ stato riportata, da parte di pur autorevoli siti internet di giornali specializzati e di associazioni mediche e sindacali, un’ordinanza ed una sentenza della Corte Costituzionale in maniera che mal si adatta alla realtà processuale:

Il medico strutturato non ha alcun obbligo di assicurazione della propria responsabilità verso i pazienti dovendosi assicurare per colpa grave al solo fine di garantire efficacia all’azione di rivalsa da parte della struttura sanitaria presso cui lavora ….. essendo invece obbligata la struttura sanitaria” e “non è incostituzionale la norma che non consente di coinvolgere l’assicurazione. La Consulta ricorda che l’azione diretta non è generalizzata”.

La vicenda deriva da due distinte richieste di valutazione della legittimità costituzionale dell’articolo 83 del codice di procedura penale.

Praticamente il predetto articolo prevede che nel processo penale il responsabile civile (e quindi l’assicurazione) possa essere citato da parte civile e/o dal pubblico ministero, ma non dagli imputati assicurati.

La Corte Costituzionale era già intervenuta in passato sul predetto articolo dichiarandolo incostituzionale nella parte in cui non consente agli imputati di citare l’assicurazione quando questa è obbligatoria (come nel caso dell’assicurazione per la circolazione stradale).

Le due richieste di legittimità erano state inviate dal Tribunale di Palermo e dal Tribunale di Avellino, in composizione monocratica.

La questione di legittimità costituzionale sollevata riguardava la parte in cui quell’articolo non prevede che, nel caso di responsabilità civile derivante dall’assicurazione obbligatoria prevista dalla legge n. 24 del 2017, l’assicuratore possa essere citato nel processo penale a richiesta dell’imputato.

In sintesi la Corte Costituzionale ha dichiarato in entrambi i casi inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata perché in pratica il medico strutturato non è obbligato ad assicurarsi verso i pazienti ma solo verso la struttura sanitaria per eventuale azione di rivalsa.

Il disposto della Sentenza in vero recita: < ….in caso di responsabilità civile derivante dall’assicurazione obbligatoria prevista dalla l. 8 marzo 2017, n. 24 …, …. Il rimettente non si è avveduto che – diversamente dal medico che operi quale libero professionista (art. 10, comma 2, l. n. 24 del 2017) – il medico cosiddetto “strutturato” non è affatto obbligato ad assicurarsi per i danni eventualmente arrecati nell’esercizio della professione, essendo i relativi rischi coperti dall’assicurazione, o analoga misura, imposta alla struttura sanitaria per cui il medico opera (art. 10, comma 1, terzo periodo, in relazione all’art. 7, comma 3, l. n. 24 del 2017); che l’obbligo assicurativo posto a carico dei medici “strutturati” dall’art. 10, comma 3, l. n. 24 del 2017, richiamato dal rimettente, ha invece un diverso oggetto: tali professionisti devono, infatti, stipulare una polizza di assicurazione per colpa grave che garantisca l’efficacia della successiva azione di rivalsa esperita dalla struttura sanitaria che abbia (già) soddisfatto le pretese risarcitorie dei terzi, secondo quanto previsto dall’art. 9 della medesima legge (sentenza n. 182 del 2023). Ed invero l’art. 12 l. n. 24 del 2017 consente, sì, al danneggiato di agire direttamente nei confronti dell’assicuratore, ma ciò solo quando si tratti dell’impresa che assicura la struttura sanitaria o il medico libero professionista: non, invece, nei confronti dell’assicuratore del medico “strutturato”, per l’ovvia ragione che la polizza che quest’ultimo è obbligato a stipulare copre debiti del medico legati ad azioni, quali quelle di rivalsa, «che si collocano “a valle” dell’esperimento (vittorioso) dell’azione risarcitoria da parte del danneggiato» (cfr. sentenza n. 182 del 2023). >

Purtroppo l’interpretazione delle parole pur scritte < essendo i relativi rischi coperti dall’assicurazione, o analoga misura, imposta alla struttura sanitaria per cui il medico opera (art. 10, comma 1, terzo periodo, in relazione all’art. 7, comma 3, l. n. 24 del 2017)> a nostro parere può portare a conclusioni che mal si adattano alla realtà processuale.

Infatti nel processo penale viene chiamato in causa il medico strutturato e non la struttura sanitaria. A norma del citato articolo 83 il medico strutturato in quei processi penali preso il Tribunale di Palermo e di Avellino non ha potuto chiamare in causa la sua volontaria assicurazione personale. In un eventuale successivo processo civile, che si potrà instaurare dopo il processo penale, il medico strutturato rimane responsabile “in solido” dei danni arrecati ai pazienti.

A nostro modesto parere, non avendo noi competenze per giudicare sulla costituzionalità e/o fondatezza giuridica, la norma prevista dall’articolo 83 del codice di procedura penale è norma priva di ogni buon senso, negando esso la possibilità ad una persona, che diligentemente si assicura per danni colposi che potrebbe arrecare per la sua attività professionale, di citare la propria assicurazione.

Link:

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&opi=89978449&url=https://www.spagnoloassociati.it/esclusa-azione-diretta-del-danneggiato-nei-confronti-della-compagnia-del-medico-strutturato/&ved=2ahUKEwiCg6zznKSKAxXx-AIHHRhFNvQQFnoECBgQAw&usg=AOvVaw3v4jYPFhiEz_aCEspgzpxM

https://www.dirittosanitario.com/news/lassicurazione-del-medico-strutturato-c-cost-n-177-2024/

https://dirittoesanita.unipv.it/aree-di-ricerca/obbligo-assicurativo-ex-lege-24-2017-in-gazzetta-ufficiale.kl

https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com/art/errori-medici-compagnia-non-entra-giudizi-penali-AGd2gnOB

Pubblicato in sentenze cassazione | Lascia un commento

Tragico episodio a Foggia: un racconto di mala…..tutto

Ho deciso di scrivere “a caldo” di un tragico episodio avvenuto a Foggia come riportato dai giornali.

I fatti partono da un tragico incidente che ha visto una giovane donna di 23 anni coinvolta in un incidente stradale mentre era in monopattino a Cerignola. Trasportata al Policlinico di Foggia il 19 giugno 2024, la giovane donna è tragicamente deceduta il giorno 4 settembre. Dopo il decesso, alcuni parenti e amici della ragazza aggredirono il personale medico che fu costretto a chiudersi in una stanza. In tre rimasero feriti.

A Foggia si é poi svolta un’affollata manifestazione davanti all’ingresso del Policlinico Riuniti di Foggia convocata dalle sigle sindacali, e non solo, per richiamare le autorità a contrastare la violenza contro i sanitari.

Come sempre la classe politica si è affrettata a voler legiferare ancora una volta per contrastare il fenomeno. Invero già era intervenuta la legge 113 del 2020 che aveva aggravato le pene e stabilito che l’aggressione ai sanitari costituisce circostanza aggravante.

La notizia non notizia è che la Procura della Repubblica di Foggia ha iscritto nel registro degli indagati 20 tra medici e infermieri del policlinico per la morte della giovane. Altro iscritto risulta il conducente del mezzo coivolto nell’incidente. Sull’episodio dell’aggressione la Procura indaga (indaga, indaga, indaga, etc).

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

Linee Guida nei Tribunali

Linee Guida nei Tribunali

 

 

 

I tribunali argomentano di linee guida nella valutazione della responsabilità professionale medica sia in ambito civile che penale da quando è stato introdotto l’articolo 590 sexies del codice penale che ha escluso la punibilità in caso di imperizia quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida.

I giudici civili (vedi sentenza n. 34516 del 2023) ritengono che le linee guida non abbiano «una rilevanza normativa», e neanche «rilevanza para scriminante, sebbene siano un parametro di accertamento della colpa medica». In particolare secondo i giudici civili « le linee guida non sono né tassative né vincolanti, e comunque non possono prevalere sulla libertà del medico, sempre tenuto a scegliere la miglior soluzione per il paziente. Di tal che, pur rappresentando un utile parametro nell’accertamento dei profili di colpa medica, esse non eliminano la discrezionalità giudiziale, lasciando libero il giudice di valutare se le circostanze del caso concreto esigano una condotta diversa da quella prescritta ».

I giudici penali (vedi Cassazione penale Sez. IV, Sent. n. 37617 del 2021) ritengono che « il formale rispetto delle linee guida vigenti presso il nosocomio non poteva (e non può) considerarsi esaustivo ai fini dell’esclusione della responsabilità ……. ciò in quanto le linee guida, lungi dall’atteggiarsi come regole di cautela a carattere normativo, costituiscono invece raccomandazioni di massima che non sollevano il sanitario dal dovere di verificarne la praticabilità e l’adattabilità nel singolo caso concreto. Il rispetto delle “linee guida” non può essere univocamente assunto quale parametro di riferimento della legittimità e di valutazione della condotta del medico e quindi “nulla può aggiungere o togliere al diritto del malato di ottenere le prestazioni mediche più appropriate né all’autonomia ed alla responsabilità del medico nella cura del paziente” ». Pertanto, « “non può dirsi esclusa la responsabilità colposa del medico in riguardo all’evento lesivo occorso al paziente per il solo fatto che abbia rispettato le linee guida, comunque elaborate, avendo il dovere di curare utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo la scienza medica dispone ».

Emerge chiaro che i giudici soppesano le linee guida in maniera fortemente contrastante rispetto ai medici. Per questi ultimi attenersi alle raccomandazioni contenute nelle linee guida significa erogare la migliore assistenza sanitaria possibile secondo la migliore scienza. Per i medici l’ausilio delle raccomandazioni contenute nelle linee guida permette di affrontare il caso clinico concreto, districandosi tra i numerosi contributi scientifici talvolta contrastanti, che emergono dalla letteratura scientifica. Una volta che il medico ha identificato una linea guida applicabile in quel caso concreto, è certo che quella raccomandazione proposta è la migliore possibile sul quel caso concreto in quanto all’elaborazione di quelle linee guida hanno contribuito associazioni mediche, società scientifiche di esperti o enti governativi, dopo ampia revisione e valutazione con criteri scientifici della letteratura, risolvendo le affermazioni contrastanti.

In vero appare azzardato affermare che le linee guida contengano raccomandazioni generiche, e di scarsa qualità scientifica, soprattutto se pubblicate sul sito nazionale Linee Guida.

Ad esempio le ultime linee guida sulle terapie di rivascolarizzazione dell’ictus ischemico acuto, che aggiornano precedenti linee guida sul trattamento dell’ictus cerebrale, sono composte di circa 625 pagine.

Ma quel che più conta è che nella redazione di quelle linee guida gli autori hanno compiuto una revisione sistematica dell’intera letteratura disponibile come sperimentazioni randomizzate controllate, studi caso controllo o di coorti, etc per fornire indicazioni e raccomandazioni per processi decisionali e percorsi diagnostico-terapeutici corretti e appropriati per il paziente con ictus ischemico acuto da sottoporre a trattamenti di rivascolarizzazione farmacologica e/o endovascolare. Hanno differenziato le raccomandazioni in base alla loro forza: forte, debole, o punto di buona pratica clinica, sottoponendo le evidenze disponibili a specifici quesiti come: 1) Quanto sono affidabili gli studi che contribuiscono al complesso delle evidenze? 2) I risultati degli studi sono concordi? 3) Gli studi sono rilevanti per la popolazione target? 4) Siamo certi di disporre di tutte le evidenze disponibili (valutazione di un possibile pregiudizio di pubblicazione)?

Non viene riportato nelle sentenze quale processo di revisione sistematica abbia potuto effettuare il giudice, (in quanto perito dei periti) e/o i periti o consulenti (anche esperti). In particolare: a quali requisiti di scientificità si siano attenuti; da quale scienza hanno attinto per stabilire la regola cautelare omessa. Da linee guida, qualche articolo scientifico, opinioni personali ?

Eppure essi dovrebbero sapere che nella valutazione con il senno di poi, tipica dei giudizi sulla responsabilità medica, è facile cadere nella trappola di formulare un ragionamento partendo dall’evento infausto verificatosi. Praticamente asserire ad esempio che l’evento infausto non sarebbe accaduto se non si fosse imbarcato su quell’aereo, poi precipitato in mare. Tali ragionamenti sono solo apparentemente “assennati”, ma in vero essi non sono solo in netto contrasto con la valutazione scientifica del rapporto causa effetto, ma anche con l’insegnamento che ci proviene dalla filosofia, storia e mitologia. Ad esempio il mito di Edipo Re ci ha insegnato che la conoscenza umana, o presunta tale, può si modificare i comportamenti umani ma non il destino, (più che rappresentare il complesso dell’amore per il genitore di sesso opposto e della gelosia nei confronti dell’altro genitore).

Pubblicato in Uncategorized | Lascia un commento

Diritti del malato e responsabilità sanitaria

La quarta sezione della Cassazione Penale (sentenza n. 37617 del 2021), ha ribadito il diritto del malato ad ottenere le prestazioni mediche più appropriate: « La giurisprudenza della Corte di legittimità è chiara nell’affermare che il rispetto delle “linee guida” …. nulla può aggiungere o togliere al diritto del malato di ottenere le prestazioni mediche più appropriate né all’autonomia ed alla responsabilità del medico nella cura del paziente>>.

Il diritto del malato, se ben interpretiamo, discende dall’articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti ».

Sembra quasi esistere per i giudici della Suprema Corte una dicotomia tra le linee guida e le prestazioni mediche più appropriate.

Invero si potrebbe scorgere tale dicotomia quando viene ricordato ai medici che le risorse finanziarie disponibili non sono infinite e devono essere usate in base al principio dell’economicità: «Il Servizio sanitario nazionale assicura, …. , i livelli essenziali e uniformi di assistenza .. nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, …. nonché dell’economicità nell’impiego delle risorse» specificando in più che il Servizio Sanitario Nazionale non assicura le prestazioni che « …. non soddisfano il principio dell’economicità nell’impiego delle risorse ». In pratica viene ricordato continuamente ai medici che devono porre attenzione alla spesa sanitaria.

I giudici sembrano voler totalmente ignorare ogni contrasto tra l’impiego delle risorse in economia e il diritto insopprimibile alle cure, non provvedendo né a suggerire la necessità di qualche correzione legislativa, né ad ipotizzare alcuna incostituzionalità, ma in concreto sembrano voler scaricare ogni responsabilità sul medico, “lasciandogli in mano il cerino accesso”.

Nel condannare la condotta del medico per aver troppo precocemente dimesso una paziente, i giudici infatti affermano che: « il formale rispetto delle linee guida vigenti presso il nosocomio non poteva (e non può) considerarsi esaustivo ai fini dell’esclusione della responsabilità del ginecologo ….. », pertanto, «non può dirsi esclusa la responsabilità colposa del medico in riguardo all’evento lesivo occorso al paziente per il solo fatto che abbia rispettato le linee guida, comunque elaborate, avendo il dovere di curare utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo la scienza medica dispone”. Brevemente le linee guida erano state adottate dall’Azienda Ospedaliera, ed avevano, verosimilmente, un forte carattere di economicità prevedendo la dimissione entro pochi giorni.

I giudici affidano al medico per intero uno spazio valutativo, nel perimetro del quale egli in solitudine è chiamato a individuare l’agire doveroso. Questo agire doveroso sarà poi valutato a tavolino da periti che – partendo da un evento evidentemente infausto, solo i danneggiati possono adire il tribunale – non saranno costretti ad usare linee guida, prove scientifiche con elevato standard di qualità, etc, ma forniranno per lo più opinioni che sembreranno plausibili alla luce dell’evento infausto verificatosi.

E non sarà affatto valutato che per il medico quelle linee guida, pur se elaborate solo all’interno dell’azienda presso cui svolge il lavoro, rappresentino la migliore pratica assistenziale possibile nel caso specifico sulla base di prove scientifiche, citate all’interno di quelle linee guida, pur se basate anche sulle risorse disponibili.

Ciò pare inaccettabile per il medico e, aggiungiamo, anche per il paziente, per una buona assistenza sanitaria.

Pubblicato in sentenze cassazione | Lascia un commento

Breve riflessione sulla comunicazione e consenso informato

E’ opinione diffusa, soprattutto tra medici legali, magistrati ed esperti di comunicazione, che i medici non sappiano usare le tecniche di comunicazione con i pazienti, e che la stragrande maggioranza delle cause intentate dai pazienti o loro familiari siano dovute ad un approccio errato di comunicazione dei medici. In particolare è spesso contestato ai medici che essi tendono ad ignorare il delicato complesso di emozioni, sentimenti e stati d’animo dei pazienti che sono invece l’elemento essenziale della relazione e della comunicazione tra esseri umani, e che in vero la prima relazione che si instaura è governata dalla componente emotiva dell’intelletto umano.

Si è dimostrato che alcuni stili comunicativi, attenti al vissuto – prospettiva del paziente, sono più efficaci di altri nel determinare risultati clinici quali la soddisfazione dei pazienti al termine delle visite o la loro aderenza ai trattamenti proposti. Tali stili comunicativi sono insegnabili e apprendibili, ed invero sono stati istituiti Corsi di insegnamento in molte Università soprattutto straniere. Il loro impiego nella pratica clinica porterebbe alla riduzione del “contenzioso” medico paziente.

Ed invece in genere nelle università italiane i medici non vengono preparati a comunicare in maniera efficace, e viene privilegiato solo l’apprendimento tecnico.

In vero, quanto più si va indietro nel tempo, la storia racconta che era proprio il medico, anche perché considerato come un sacerdote in contatto con la divinità, tra i primi ad usare la comunicazione per aumentare l’efficacia dei pochi farmaci allora disponibili. Ancora oggi i medici, con un buon apprendimento tecnico, sanno quanto valga in termini di efficacia anche il cosiddetto effetto placebo.

Secondo gli esperti nella visita clinica si crea una relazione durante la quale si raccolgono e forniscono informazioni. La comunicazione quindi per essere efficace deve basarsi su tecniche e capacità di raccolta di informazioni in genere divise in capacità di chiedere (domande chiuse, domande aperte, tecniche di eco) e capacità di ascoltare (silenzio, tecniche di continuazione). Tali tecniche e capacità devono essere periodicamente verificate.

Gli esperti di marketing si fregiano della capacità di riuscire a far comprare un frigorifero ad un esquimese sfruttando tali tecniche di comunicazione.

Prendiamo ad esempio di come viene consigliato di comunicare una cattiva notizia con indicazioni accettate a livello internazionale: il medico deve considerare i seguenti passaggi: avviare il colloquio; esplorare che cosa sa il paziente; capire quanto il paziente desidera sapere; condividere le informazioni col paziente (allinearsi); rispondere ai sentimenti del paziente; pianificare e accompagnare. La comunicazione è quindi molto basata sulla cosiddetta fase emotiva del paziente.

In vero non pare esserci alcun obbligo giuridico per il medico di essere “gentile” o di saper ben comunicare (inteso anche, come eccesso, della capacità di saper vendere la propria “arte o professione”). In contrasto invece il medico ha l’onere e l’obbligo giuridico di informare il paziente.

Secondo la Cassazione il consenso del paziente oltre ad essere informato deve essere consapevole, completo (deve riguardare tutti i rischi prevedibili, compresi quelli statisticamente meno probabili, con esclusione solo di quelli assolutamente eccezionali ed altamente improbabili), globale (deve coprire non solo l’intervento nel suo complesso, ma anche ogni singola fase dello stesso), ed esplicito e non meramente presunto o tacito.

Pare opportuno chiedersi, seppur è indubitabile che l’emozione pregiudica la comunicazione e condiziona la relazione, se la comunicazione del medico può essere rivolta alla parte emotiva del paziente o deve esclusivamente basarsi sulla parte intellettiva.

E soprattutto è vero che l’avvio dei procedimenti penali sia dovuto a cattiva comunicazione ?

In vero già Lucio Anneo Seneca affermava che alla base dell’alterato rapporto con il medico vi sia una predisposizione del paziente a ritenere che tutto gli è dovuto e che i pazienti non vogliono in particolare sentirsi obbligati nei confronti dei medici.

In vero attente osservazioni riportano che è l’arroganza, (la boria, la presunzione, la spocchia, la supponenza, l’insolenza, etc), mostrata dal medico, che pur potrebbe rientrare nella cattiva comunicazione, ad irritare fortemente il paziente e/o i suoi familiari ed indurli alla denuncia.

Se poi sono i magistrati ad affermare che molte cause intentate dai pazienti o loro familiari siano dovute ad un approccio errato di comunicazione dei medici, c’è da chiedersi se essi perseguono reati penali o reati di cattiva comunicazione.

Pubblicato in Pensieri | Lascia un commento

“Non serve più l’alcoltest per provare l’ubriachezza”

 

Una recente sentenza (20763 del 2024) si è occupata di un caso di condanna di un cittadino in quanto colpevole del reato di cui all’art. 186, commi 2, lett. c) e 2-bis del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285: guida di un’autovettura in stato di ebbrezza in seguito all’assunzione di bevande alcoliche oltre il limite con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l.

Il ricorso in Cassazione era motivato dalla mancanza dell’avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore ai sensi dell’art. 114 delle disposizioni attuative del codice di procedura penale. Sarebbe stata quindi illegittima l’acquisizione nel processo del dato alcolemico (cioè 3,69 g/l, come da referto “degli Spedali Civili del 12 settembre 2018”).

La Suprema Corte rigetta il ricorso argomentando che l’accertamento della concentrazione alcolica può avvenire in base ad elementi sintomatici ed esame obiettivo anche in assenza di un valido esame alcolemico. In sintesi, nel caso di esame, i giudici di merito hanno congruamente individuato aspetti quali lo stato comatoso ed alterazione della vigilanza manifestati dal cittadino incriminato, l’incapacità di controllare l’autoveicolo in marcia, l’incapacità di rispondere alle domande, dal forte odore acre di alcol, riportati dagli agenti di Polizia Giudiziaria al loro arrivo sul luogo dell’incidente stradale.

Come cittadini (ma anche come medici) quelle argomentazioni destano diverse perplessità.

Non si comprende perché la condanna non sia in base all’elevatissimo tasso alcolemico (3,69 g/l) determinato in Ospedale Pubblico. Dobbiamo ritenere quindi fondata la richiesta della cancellazione del dato alcolemico perché ottenuto in spregio alla legge e quindi da considerare in qualche modo non veritiero.

Non si comprende inoltre come la giustizia possa considerare quegli agenti di Polizia Giudiziaria – che pure pare hanno mancato ad adempiere al loro mestiere da non poter considerare l’importante dato dell’alcolemia – in grado non solo di far una diagnosi medica di ubriachezza, ma distinguere in base alla sintomatologia i diversi tassi alcolemici.

Ed infine stupisce che quegli agenti hanno notato “l’assoluta incapacità a controllare l’autoveicolo in marcia” (e cioè riscontrato che era ubriaco lo hanno fatto riprendere la marcia, non paghi dell’incidente già avvenuto ?

 

Pubblicato in sentenze cassazione | Lascia un commento

Un caso di malasanità coperto da malagiustizia (?)

riportato dai giornali di cronaca di Vicenza.

 

Anche il più “scalcinato ospedale” avrebbe evitato l’ictus con una semplice fibrinolisi

 

 

Dai giornali di cronaca di Vincenza apprendiamo che un ex senatore della Repubblica Italiana, avvocato penalista di Vicenza, e professore universitario, ha deplorato un episodio di “malasanità coperto da malagiustizia”. Coinvolti sono medici, periti, pubblici ministeri, giudici del Tribunale di Vicenza e Trento.

Riassumiamo la vicenda come riportato da articoli dei giornali (disponibili ad ogni correzione come voluto dai protagonisti).

L’ex senatore riferisce che le sue condizioni sarebbero state sottovalutate quando, accolto dal pronto soccorso dell’Ospedale San Bortolo di Vicenza alle ore 16 del 31 ottobre 2015 per un malore, fu ricoverato nella “Stroke Unit”, colpito da un ictus che gli provocò un’emiparesi, con falsificazione della cartella clinica (riferisce che gli furono praticate iniezioni non ordinate dai medici, riscontro di uno spaventoso aumento della pressione arteriosa, etc).

In sostanza l’ex-senatore accusa di aver varcato la soglia dell’Ospedale di Vicenza camminando sulle sue gambe, uscendone su di una sedia a rotelle perché metà del corpo era stato paralizzato da un ictus causato dalla inadeguatezza delle cure fornite dal nosocomio vicentino, evento che avrebbe potuto essere evitato con una metodica medica alla portata anche del più scalcinato ospedale di provincia, ossia con una fibrinolisi ottenuta mediante un farmaco ad hoc”.

Dopo la presentazione di un esposto “per denunciare i medici che avrebbero omesso di somministragli i farmaci fibrinolitici, che avrebbero scongiurato l’esito nefasto dell’ictus” la Procura Vicentina, dopo un giro tortuoso su varie scrivanie, secondo le sue denunce successive, incaricò due periti veronesi che non rilevarono profili di inadeguata assistenza, scagionando i medici che lo avevano tenuto in cura, pare sostenendo che la terapia fibrinolitica non poteva essere praticata per il motivo “che si era chiusa la finestra temporale utile giacché si erano fatte le otto, le otto e mezzo della sera”. Egli replica che: “… quel maledetto 31 ottobre del 2015 io entrai in reparto alle 16 circa. Ergo, questi signori hanno avuto ben quattro ore o giù di lì per somministrarmi quello stramaledetto farmaco”. E quindi l’ex senatore “non si arrende, fa opposizione sostenendo che i periti mentano.

Il giudice delle indagine preliminari di Vicenza nomina ulteriori periti. Questi nuovamente non individuano responsabilità sostenendo che non sarebbe stato possibile praticare la fibrinolisi per la incompatibilità con altro farmaco in corso di somministrazione (non sappiamo quale, ndr), che l’ex senatore afferma di non aver mai assunto.

L’ex senatore si rivolge ad altro consulente, professore dell’Università di Ancona che, a suo dire smentisce la tesi dell’incompatibilità in una memoria, pare inviata per posta elettronica, richiamando le linee guida del Ministero della Salute. Tale smentita sarebbe sparita dal fascicolo.

L’ex senatore rferisce di aver registrato colloqui con uno dei suoi periti medici, durante i quali questi avrebbe affermato che: “….. parlando coi periti della controparte questi gli confidarono che avevano ricevuto pressioni in alto loco per salvare l’ospedale anche se questo aveva torto». “Interrogato da un ispettore di Polizia quel perito ammise di aver detto quelle parole, ma giustificò di averle dette perché lo aveva visto affranto. Sarebbe intervenuto anche il capo della polizia vicentina ad insabbiare tutto”.

Quindi l’ex senatore presenta un nuovo esposto, stavolta al Tribunale di Trento competente nei confronti dei magistrati vicentini con l’accusa di abuso d’ufficio e omissione di atti d’ufficio.

L’ex senatore nelle sue interviste ai giornali locali racconta anche di un episodio in cui in udienza gli fu impedito di essere accompagnato dal suo assistente, e negato la possibilità di registrare l’udienza. a porte chiuse, ho deciso di denunciare anche il giudice delle indagini preliminari.

L’ex senatore presenta poi un ulteriore esposto di venti pagine al Consiglio Superiore della Magistratura, al Ministero della Salute e alla giunta regionale del Veneto, nel quale accusa tutti coloro che tra personale medico e magistrati (sia pubblici ministeri che giudici delle indagini preliminari) hanno in qualche modo omesso di accendere i riflettori sulle malefatte di quella che l’avvocato etichetta come «mafia dei camici bianchi». Inoltre si dice pronto a sollevare il caso sino alla Corte di giustizia europea.

Gli atti fanno poi “la spola tra la la procura Vicentina e quella di Trento” perchè i fascicoli vengono intestati ad ignoti, (la competenza sarebbe della Procura Vicentina), ma per la presenza di nomi precisi, inclusi quelli dei magistrati in servizio a Vicenza, la competenza è della Procura di Trento. Nel frattempo i giudici si alternano, e qualche giudice si trasferisce da Trento a Vicenza e viceversa. Alla fine un giudice scagiona i magistrati vicentini per l’accusa di abuso d’ufficio, ma rinvia a giudizio quattro magistrati vicentini, nonostante la richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero trentino, con l’accusa di omissione di atti d’ufficio, per non aver effettuato gli accertamenti richiesti dal professore sulle condotte assai incongrue sia del personale medico del San Bortolo, sia dei periti incaricati dalla magistratura vicentina, e per le lungaggini negli accertamenti compresa la incontrovertibile vicenda della derubricazione del fascicolo aperto sulla denuncia del penalista vicentino verso ignoti nonostante quest’ultimo avesse individuato precise responsabilità citando nomi precisi e circostanze precise. Tutti gli indagati professano la loro estraneità nei confronti di ogni addebito, la bontà della loro condotta, ed il pieno rispetto delle leggi.

Fonti

Malasanità, 23 maggio su VicenzaToday
Malasanità, incriminati per falso consulenti e medici
Malasanità, magistrati davanti al GIP
Insabbiate denunce contro S. Bortolo

penalista porterà le toghe di Vicenza e Trento davanti alla Corte europea.

Pubblicato in dalla cronaca | 1 commento